Caro Salvatore,

quarant'anni sono sufficienti per avere quella distanza dai fatti che consente di valutare, giudicare, pesare e, in definitiva, liquidare un pezzo di esperienza congelando senza emozioni e per sempre una storia che è fatta di soggettività di sentimenti, di sensi più che di fatti, di oggetti e di ragione? Quarant'anni sono tanti nella vita di un uomo, possono essere tutta la sua vita. A chi può interessare il congelamento del giudizio?

E poi la storia non è quella che avviene, che è avvenuta, ma quella che sentiamo, che continuiamo a soffrire, che evochiamo con il legittimo arbitrio di chi è libero dall' oggettività e obbligato dalla dolce coercizione della malinconia del ricordo: del ricordo e non della memoria.

Di questi quarant'anni proviamo solo a evocare una delle tante possibili sequenze: all'origine il desiderio di produrre, la voglia di misurarsi, la spinta a esserci, le aspettative sul cambiamento, la partecipazione ad un rinnovamento possibile; i luoghi del nostro lavoro, il nostro studio in via Martucci, il tuo negozio di via Carducci e poi quello di piazza Vittoria, che diventano identità professionale e non solo locazione; l'antropologia della progettazione, il sentimento dei materiali, l'estetica dell'oggetto, quel mondo sospeso tra design e artigianato; le esposizioni del 1975, anche le feste dell'Unità del 1975 e 1976, i quaderni dell'Ellisse; la gioia delle elezioni del '75 e il colore del tavolo di pitch pine nell'ufficio del Sindaco Valenzi; le case delle nostre giovani famiglie, la tua casa a via Martucci, la voce di Lella, le tue parole a volte "intorcinate" a confezionare un'argomentazione e un giudizio quasi sempre lucido, emesso con quella smorfia che stringe i denti e stira le labbra e che non ti abbandona mai; gli anni che ci hanno visto cambiare, prendere strade diverse, partecipare ai tempi e ai cambiamenti, perdere pezzi di noi e delle nostre vite, vivere dolori, tentare di capire la fine della storia salvando riferimenti e valori per poter vivere con qualche ragione il tempo lento dell'invecchiamento e non “morire di subito” .  Una delle tante possibili sequenze che vive della soffice concretezza del ricordo, non dell'astratta oggettività della memoria . Questa non appartiene a nessuno.

Con affetto,

Mario R. Lauro, Emmanuele Pasca di Magliano, Gino Palomba

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