Caro Davide,
mi chiedi di descriverti la vita dei vicoli napoletani dal 1940 al 1960, eccoti servito. Non ti aspettare un’autobiografia, ma tenterò di descrivere lo scenario dentro il quale sono nato e cresciuto nei miei primi vent’anni. Il 7 gennaio 1939 è la data della mia nascita avvenuta in casa, come era normale in quell’epoca, pur abitando proprio di fronte all’Ospedale dei Pellegrini, in Via S. Liborio 56 alla Pignasecca, dove al numero 33 viveva Filumena Marturano, personaggio della commedia di Eduardo De Filippo.
Settembre 2014, al compimento dei tuoi primi diciott’anni, vai a Roma e ti iscrivi all’Università LUISS di Roma per laurearti, (un giorno) in Economia Aziendale e oggi dopo appena nove mesi, (maggio 2015) hai nostalgia della Napoli dei tuoi primi diciott’anni, quella del Centro Storico, di Piazza Bellini, dei Quartieri Spagnoli, di Mergellina, dove il kaos del ritmo quotidiano, fatto di gioco, ironia, leggerezza, trasgressione, di violenza gratuita, di musicalità e soprattutto d’imprevedibilità ti avvolge, come a tutti i suoi figli. La tua andata a Roma ti priva di tutta questa fisicità (katastrofis) e oggi la Saudade è già dentro di te.
La molteplicità del popolo napoletano è tale da suscitare l’interesse degli studiosi internazionali, soprattutto sociologi e filosofi, non a caso il Mitico Avvocato Gerardo Marotta fondò nel 1975 l’ISTITUTO DI FILOSOFIA, tentativo di riflessione corale d’identità et appartenenza, contro l’omologazione culturale mondiale.
La mia libertà di pensiero mi consente una riflessione che può meglio aiutarti a capire la nostra Napoli.
Come tu ben sai, a Piazza Plebiscito ci sono dieci statue di Re, Principi e dominatori della Napoli dal 1300 in poi al 1945 (dagli Angioini ai Savoia).
La mia riflessione è: “Che senso e che psiche collettiva di città, hanno potuto costruire questi dieci Capi Nobili (!) se non quello di alimentare il loro potere, la loro ricchezza e la loro indifferenza al progresso e al livello di civiltà e progresso della città, creando sempre più un fossato tra potere e cittadino, tale da determinare un radicalismo e fondamentalismo, sulla linea se il potere non è in grado, mi organizzo da solo la mia felicità privata e sociale senza mai contare sull’altruismo sociale”.
La grande Nomenklatura, negli anni tra il 1950/60 poteva anche mettere in Piazza Plebiscito, l’undicesima statua (!) dedicata al Sindaco Achille Lauro, che con il suo illegale piano regolatore deturpò Napoli facendola diventare un cementificio abusivo e immorale. L’unico “grido di dolore” venne dal Mitico Regista-Intellettuale Francesco Rosi che nel suo film MANI SULLA CITTA’ ci documentò del tribalismo di un sistema di potere che con l’avvento della camorra è diventato male endemico. Infatti, i Borboni, nel 1799, con la malavita locale fecero fuori tutti i Nobili Liberali e Rivoluzionari uccidendoli senza pietà e da quell’epoca inizia il male oscuro di un’alleanza tra un certo potere e la malavita.
Una riflessione dei miei primi settanta anni sulla costruzione della psiche collettiva del popolo napoletano.
Quasi mille anni di potere istituzionale proteso sempre ai propri interessi e privo di altruismo sociale, unico valore politico con il quale si realizza la domanda dei bisogni dei cittadini e l’interesse generale della nazione.
Per difendersi da questo muro d’insensibilità sociale, il popolo napoletano realizza una propria autodifesa dal potere ingordo, costruendosi una bio-psiche collettiva, fatta d’indifferenza verso queste istituzioni ingorde e incapaci alla mediazione dei bisogni collettivi. Il popolo annulla la presenza dei Governi, tanto incapaci di essere idonei al compito che la storia aveva loro affidato. Indifferente al potere, il popolo si riversa nella pura categoria dello spirito.
Da questa coscienza dell’impotenza del potere a gestire la cosa pubblica, e interessato solo a gestire la “propria cosa” il napoletano si è allontanando sempre più dalle Istituzioni, e si è riversato sempre più nella propria pratica della categoria dello spirito usando l’ironia, il gioco, la trasgressione, per gestire ed elevare il proprio quotidiano. Oggi questi valori sono parte integrante del napoletano discreto, mentre la parte del napoletano tribale proteso all’egoismo et al possesso, è portata a seguire l’onda nera del male oscuro che dai Borboni in poi, domina la città.
Certamente la teoria sopra esposta, può essere curiosa e sbilenca ma è parte di me. Un popolo va capito attraverso le varie discipline teoriche quali l’antropologia, la sociologia, la psicologia e l’economia.
Abbiamo avuto tre grossi esponenti del popolo discreto che meglio degli altri hanno espresso la poetica del pensiero dei vicoli: Eduardo De Filippo, TOTO’ e Massimo Troisi.
EDUARDO DE FILIPPO lo ritengo uno dei più grandi attori della sua epoca; come autore era più proteso all’accettazione e descrizione dell’esistente piuttosto che lottare per cambiare l’esistente.
Descriveva, da grande sociologo, il suo popolo usando molto “la teoria del lamento” che è molto praticata dal ceto dominante napoletano per coprire le proprie vergogne. Fu lui che diede il “la” ai giovani di andare via da Napoli, con la famosa dichiarazione televisiva “Fuitevenne da Napoli”!!
TOTO’ era un rivoluzionario del pensiero, surrealista e dadaista, dava per scontato la catastrofe del quotidiano e usciva da se con categorie imprevedibili. L’imprevedibilità era il suo piatto forte, regalandoci, come attore-autore, momenti impagabili d’ilarità e piacevolezza. Totò, nato e cresciuto nel popolare quartiere della Sanità, era un altruista sociale e privato, amava le donne, la musica, la poesia e la città è ancora grata al suo genio poetico, tanto che ai suoi funerali la folla iniziava dalla Chiesa del Carmine al Mercato e finiva al Molo Beverello di Piazza Municipio.
Un esempio su tutti della penetrazione dei valori di Totò nella bio-psiche collettiva napoletana, era Zio Peppino.
Zio Peppino, il Mitico papà di Franco e zio di Italo, due cari amici, verso i quali, ancora oggi, porto profondo affetto e stima, per la loro calda et altruistica amicizia che mi donarono in un momento particolare della mia vita. Zio Peppino con la moglie Zia Assunta, e Franco il loro figlio, abitavano ai Ventaglieri a Montesanto e proprio lì vicino c’era il Cinema Astoria, oggi Comando della Polizia.
Ogni volta che arrivava al Cinema Astoria l’ultimo film di Totò, tutti noi ragazzi ci radunavamo davanti all’ingresso del Cinema, per vedere con zio Peppino, tutti insieme appassionatamente il film di Totò e alla fine del quale, tutti a casa di Zio Peppino, dove la Mitica Zia Assunta, ci aspettava con la frittura di Fiorenzano a Montesanto, fatta di croquet (panzarotti), arancini (palle di riso), i triangoli di polenta fritti (detti scagliuozzi), che mangiavano alla grande, mentre ognuno di noi ricordava le fasi salienti del film (la battuta più intensa, il particolare più curioso, etc. etc.)
Caro Davide, se tu ben ricordi ti portai da Fiorenzano a Montesanto con il tuo amico Renato (avevi quasi dieci anni) e voi due mangiaste il Ben di Dio e dopo andammo a comprare i fumetti d’epoca sulla Salita Tarsia.
Peccherò di presunzione, ma voglio ricordare che nel 1991/92 un mio articolo chiestomi dal giornale IL MATTINO, tramite Alessandra Pacelli, caporedattrice.
Un giorno una boutique a Piazza dei Martiri, oggi diventato Bar, espose una pessima statua di cartapesta di Totò con la mano destra aperta e protesa al pubblico e sopra la quale, un cestino con annunci pubblicitari del Bar stesso, dando l’impressione che Totò chiedesse la carità ai noi passanti.
Il troppo è troppo!
Il mio articolo uscì sul Mattino e lo stesso giorno, la statua fu ritirata. Come tante mie cose, l’articolo l’ho perso, ma mi resta l’orgoglio di aver fatto ritirare la statua. Zio Peppino dei Ventaglieri sarebbe stato fiero di me !!!
MASSIMO TROISI
Massimo fu il più naturale interprete della psiche napoletana. Arrivò quasi cinquant’anni dopo Eduardo e Totò, la sua matrice artistica era priva dell’intensità sociale di Totò et Eduardo, cresciuti con il fascismo si portavano addosso quella voglia di cambiare il mondo e diventarono immortali perché portatori di un messaggio di cambiamento totale della loro Napoli. Il colto naturalismo di Massimo, veniva dalla sua età, nato nel 1953, fu figlio del Boom Economico e pertanto l’accettazione della propria realtà era vissuta con ironia e leggerezza. Quando Massimo morì, ero a casa davanti alla TV e piansi. Il suo ultimo film, Il Postino, lo vidi da solo al Cinema Delle Palme alle quattro del pomeriggio ed è proprio nel film IL POSTINO che Massimo espresse la grande filosofia dei discreti napoletani e nel rivederlo sullo schermo, ancora una volta piansi.
La riflessione scientifica (!)
“Napoli non ha avuto una pedagogia sociale, rappresentata dall’Era Industriale” attraverso la fabbrica, mentre i popoli del Nord hanno avuto un’intensa produzione di estetica sociale a partire dal rispetto degli altri, dal rispetto dello Stato, dal rispetto per gli emarginati e dei più bisognosi.
Solo una pratica di vita fatta di moralità, di forma e comportamento, può portare a un giusto equilibrio tra interessi soggettivi e l’altruismo sociale. Oggi con la cultura dell’omologazione, si è spezzato il filo rosso dell’onestà sociale.
A Napoli, quel poco di presenza industriale, l’abbiamo avuto con l’Italsider di Bagnoli, con la Cirio a San Giovanni a Teduccio e con Castellamare di Stabia con la sua industria navale, mentre il sottoproletariato dei vicoli continuava a splendere per la sua ignoranza e miseria arrangiandosi nei suoi umili mestieri.
Come autodidatta, amo la Storia tratta dalla letteratura di scrittori sensibili alla propria città e molto ho imparato dai loro romanzi che ti consiglio di leggere, per approfondire la tua “nobile patria natia”.
LA CARITA’ DI GIULIA – autore FABIO ROMANO ediz. Intra Moenia
rappresenta un grande affresco cattolicamente pagano della Napoli del ‘600, una storia romanzata dall’autore e tratta da documenti dell’epoca dell’Inquisizione, in cui la città e il suo sistema di potere, ancora oggi, si presentano con la stessa faccia tosta di quell’epoca.
IL RESTO DI NIENTE di ENZO STRIANO ediz. Rizzoli
è la presa di coscienza dell’inizio della collaborazione tra malavita e Potere Istituzionale (I Borboni), collaborazione che portò all’uccisione dei Rivoluzionari Napoletani, tra cui LA MITICA Eleonora Pimentel Fonseca. Questo filo rosso tra potere e sottoproletariato tribale ancora esiste e resiste.
LA PELLE di CURZIO MALAPARTE ediz. Adelphi
libro che conferma il paganesimo dei napoletani durante la seconda guerra mondiale.
IL MARE NON BAGNA NAPOLI di A. MARIA ORTESE, ediz, Adelphi
grande denuncia morale dell’autrice contro un potere letterario insensibile alla realtà del quotidiano. La Ortese fu costretta ad andare via da Napoli, emarginata dal “giro ufficiale” dell’intellighenzia al servizio del potere.
MALACQUA di Nicola Pugliese, ediz. Tullio Pironti
Uscito nel 1977 con la Einaudi Edizioni e ristampato oggi dall’editore napoletano rappresenta l’incapacità del Potere Istituzionale ad agire tempestivamente per risolvere problemi pratici della città; nel contempo il popolo conscio dell’impossibilità del potere a risolverli, va dritto per la sua strada dell’identità et appartenenza. Nicola Pugliese è stato uno dei più grandi discreti scrittori napoletani.
Ora dopo tutta questa presentazione, veniamo ai fatti con un esempio pratico, che meglio fa intendere l’egoismo sociale napoletano, ovvero: “Città del Prendere”.
Verso il 2010 il sostegno economico di tua madre verso la Picagallery si stava esaurendo per le trasformazioni socio-economiche che coinvolgono spesso tutti noi, pertanto decisi di creare un’Associazione Culturale chiedendo il sostegno economico ai napoletani come segue:
COMUNICATO STAMPA
Cari amici,
con grosso impaccio, ma sereno di camminare con la mia storia sociale, vengo con questa mia a dirVi: nel 1968 fondammo L’Ellisse in Via Carducci 32 che fin dal primo giorno ospitò mostre e manifestazioni culturali di diverse discipline artistiche, tutte documentate sul nostro sito www.salvatorepica.it.
L’Ellisse chiuse, ma noi continuammo ad accogliere iniziative varie sia con lo Studio Elettra di M. D’Ayala, sia con il Pick & Paik club di Via Ferrigni.
Nel 2000 aprimmo, in Via Vetriera 16, un nuovo spazio social-culturale che ancora oggi continua a rispondere ai bisogni della creatività sommersa che non trova spazio espositivo nei luoghi Istituzionali, pateticamente protesi a un uso dell’arte al servizio del gioco del potere politico.
In tutti questi anni, abbiamo sempre attinto dalle risorse del mercato per sostenere i bisogni artistici, vuoi con la vendita dei mobili (Ellisse), vuoi con la struttura della notte (Pick & Paik).
Oggi, questi due mercati per noi si sono irrimediabilmente esauriti e solo grazie all’aiuto di qualche amico o di qualche parente siamo riusciti ad andare avanti negli ultimi tempi, continuando a garantire, nonostante le difficoltà, uno spazio aperto a tutti, un luogo per sperimentare, per debuttare, per ricordare e, talvolta, per provocare ancora un po’.
Ed è anche per questo che, invece di chiudere definitivamente come i numeri ci avrebbero suggerito, abbiamo deciso di far nascere un’Associazione Culturale e di lanciarci alla ricerca di soci sostenitori e di partner grazie ai quali garantire un nuovo capitolo di un’avventura di sperimentazione e di libertà che dura da ormai 44 anni.
Ci rivolgiamo, dunque, a ciascuno di Voi per chiedere di associarVi all’Associazione Culturale in qualità di:
- Socio ordinario: Quota associativa 300 euro annui;
- Socio sostenitore: Quota associativa 600 euro annui;
- Socio partner: A partire da 1500 euro.
- Socio for simpaty “giovani studenti” tessera da 10,00 euro
Gli interessati potranno rivolgersi direttamente a Salvatore Pica (cell. 3337388329) o inviare una mail all’indirizzo info@salvatorepica.it, indicando nome e cognome e tipologia di adesione. Provvederemo poi a contattarVi per l’affiliazione formale.
Certi del Vostro sostegno e della Vostra comprensione, Vi ringraziamo affettuosamente fin d’ora.
….ebbene su migliaia di amici aderì una sola persona, il notaio Cappelli di via Crispi.
A te le riflessioni per il tuo futuro napoletano (!)
Tuo, papy
P.S.
Una città va vista come un essere umano e come tale portatore (portatrice) di contraddizioni, ma anche di valori. Questa rimane la mia visione della vita. Il resto… è mancia al cameriere!