L’uomo e la città, la città ei suoi abitanti. Ci sono persone che si identificano con la città in cui vivono, che la rappresentano, ci sono città che esprimono individualità e comportamenti che danno una cifra identitaria fortissima, caratterizzante, senza cadere nel folclore, con la città, con il territorio. Avviene ovunque, ma ancor di più in una città come Napoli, così fortemente caratterizzata sul piano storico, culturale, monumentale, artistico, paesaggistico, elementi che formano anche inconsapevolmente il rapporto tra chi ci vive e la scena urbana, il territorio, fino a identificarsi con essa, a rappresentarne l’anima, la faccia, il modo di essere, anche lo spirito. Il rapporto identificativo tra individuo e città è avvertibile su vari livelli, da quello istituzionale (il presidente della Repubblica Napoletano, per dirne uno) a quello artistico-culturale (gli scrittori che raccontano la città, Raffaele La Capria, espressione tra le più raffinate della narrativa italiana con forte connotazione partenopea, gli scomparsi ma indimenticati Michele Prisco, Mimì Rea, Luigi Compagnone, l’instancabile Gerardo Marotta, coscienza critica per fortuna sempre attiva, Francesco Rosi: napoletani eleganti, di grande spessore) a quello sportivo (non per forza calciatori…), alla scena sociale (un Pippo Dalla Vecchia, per esempio).

Ma c’è anche una categoria per così dire normale di persone che a giusto titolo finiscono per essere identificative di una città, di una cultura, e che rappresentano il territorio e la sua anima, la sua filosofia , il suo spirito, vivendola con grande naturalezza, permeate come sono dal “genius loci”. A questa categoria di persone appartiene di certo Salvatore Pica, operatore culturale ad ampio spettro, animatore cittadino, interprete di molte vite un’attività commerciale per vivere, un palcoscenico artistico-culturale per viver meglio, una rete di rapporti umani e sociali impregnati di grande, direi totale, disponibilità, di altrettanto grande generosità e di un tratto, una gioia di vivere, costantemente finalizzati aduna curiosità senza fine, intesa nel senso di una continua apertura di occhi su quanto accade. Per capire, per farsi capire.

Pica, in arte Pick e Paik, bisogna conoscerlo e attraverso di lui si capisce meglio Napoli, questa grande madre di tanti figli, alcuni dei quali speciali: come Salvatore, appunto. Di lui puoi apprezzare, oltre le già ricordate generosità e disponibilità, la febbre conoscitiva che lo pervade, la sottigliezza delle definizioni, il continuo rimando ad una situazione culturale, ad un libro,ad un testo teatrale, la sua filosofia, in una parola la sua ironia, che lo rende caro a chi supera –non conoscendolo ancora bene – la superficie, una maschera di apparente scetticismo, forse di superficialità altrettanto apparente, per scoprire una umanità intelligente che lo ha reso personaggio e, per me, un napoletano rappresentativo della migliore tradizione di cultura .

Uno scettico blu, si sarebbe detto in altri tempi, che gioca a regalare pillole di scetticismo, aforismi, battute, parole di saggezza con un imprinting piacevolissimo di ironia, che tradiscono spirito da impenitente scugnizzo, e quindi vivacità, e pratica di buone letture, di una frequentazione non episodica con situazioni e persone di cultura. Tutto ciò fa di Salvatore Pica, “teorico della notte” (“la notte come socialità”), filosofo della movida in alcune delle sue tante vite, un napoletano doc a tutti gli effetti, un personaggio rappresentativo della città. Considero un grande piacere, una fortuna poter godere della sua capacità di affabulazione, di inquadramento di uomini(e donne) e cose, di poter scambiare con lui non solo sentimenti di amicizia e di stima, ma  anche valutazioni, opinioni sui fenomeni del nostro tempo, la vita cittadina in primis,ma non solo.

Altri diranno meglio di me le tante iniziative che ha intrapreso, l’elenco è lungo e si corre il : rischio di ripetersi. Ma non se ne possono sottacere alcune, che hanno scandito periodi della vita napoletana, lasciando una scia nella memoria di molti: a parte l’intensa attività di mostre, dal Centro Ellisse a piazza Vittoria nato nel1968 (sulla linea “Il privato nel sociale”, uno dei tanti motti coniati da Pica) all’attuale Picagallery di via Vetriera (sulla linea: “L’arte del dolore - L’arte della prima volta - L’arte della memoria”), quello e questa sedi di autentici incontri di cultura sotto il segno dell’arte, con un’attenzione particolare verso i giovani artisti, vorrei parlare di due situazioni, tra le tante, in particolare. E cioè dell’Accademia della Catastrofe e dei Progetti di gola: la prima, una sorta di assise con una forte cifra ironica (ci risiamo…) e tutt’altro che superficiale, fondata con alcune belle menti che fanno parte della sua compagnia “di giro” del suo clan amicale/intellettuale (Fabrizio Mangoni, Lucio Rufolo, Francesco Durante); la seconda una singolare manifestazione che univa ai già menzionati anche Benedetto Gravagnuolo, altri architetti e un grande cuoco, un vero “architetto della cucina”, come Salvatore Di Meo della mitica- e ora scomparsa – “Misenetta di Bacoli: a Monte di Procida, per alcuni giovedì, ci furono indimenticabili serate di alta gastronomia nel segno di belle proposte di arredamento in un clima civile, intelligente dove lo scambio umano e sociale e culturale, rifletteva – con il grande ausilio delle proposte gastronomiche di Di Meo – lo spirito e l’intelligenza, l’ironia e la filosofia, del suo animatore-ideatore. Pica, appunto.

Al quale si devono più di quattrocento mostre, una attenta presenza nel dibattito socio-culturale cittadino, un’attenzione mirata alle produzioni di tanti operatori di sicuro livello come il rimpianto Almerigo De Angelis, Antonio Dentale, Alfredo Profeta, Geppino Cilento, Fabio Donato, Giulio Baffi; ed ancora la pubblicazione della prima rivista femminile “Mille e una donna”, diretta da Clara Fiorillo; le sue pubblicazioni,  da “La notte  è dura ma non ci fa paura” ( Colonnese 1991) a “La donna napoletana divisa per quartiere” (stesso editore –altro napoletano D.O.C., stesso anno), a “Il maschio napoletano (Dante & Descartes, 1994), a “I notturni napoletani” (stesso editore,1995), al suo dvd (“Una vita sfumata”), con disegni di Giuseppe Manigrasso, presentato nel 2004 alla Feltrinelli con Alberto Abruzzese, Daniele Pitteri e Lucio Rufolo.

Tante iniziative, a testimonianza di una frenesia dell’essere che è vivacità culturale, intelligenza, spirito del tempo e frutto di una mente che non sta mai a riposo:dalla mattina presto, da quando cioè Salvatore accompagna a scuola il terzo figlio, Davide, che ormai ha undici anni, a sera, quando – prima di tornare dalla paziente Antonella (non dev’esser facile dividere il proprio tempo, la propria vita, con un tipetto del genere: ma presumo che - se non facile – sia più che stimolante) dispensa i tesori della sua amicizia e della sua visione del mondo, della sua ironia insomma, a quanti hanno la fortuna di frequentarlo, incontrarlo.

E allora, caro Salvatore, che dirti, se non “Grazie di esistere”?

Pasquale Esposito

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