Il Pica Express era sempre pronto. A qualsiasi ora del giorno e soprattutto della notte. Una volta, partendo alle 10 di sera da Napoli, piombammo a Foggia un paio d’ore dopo per raccogliere due amiche, e altre due ore più tardi giungemmo a Bari, la meta finale del nostro viaggio, giusto in tempo per sgommare fastidiosamente sulla ghiaia all’esterno di una pretenziosa villa del quartiere Santo Spirito, teatro di una festa cui nessuno ci aveva invitato, attirarci gli sguardi di malcelato disprezzo della peraltro avvenente proprietaria e dei suoi poco interessanti ospiti, e ripartire ipsofatto. Non ricordo quali altri ghirigori l’Alfetta di Salvatore disegnasse nel corso di quella notte sulla mappa dell’Italia meridionale. So soltanto che il giorno dopo mi svegliai con un cerchio alla testa. E mi accorsi di non essere solo nel mio letto.

Non so quanto tutto questo c’entri con la celebrazione del Centro Ellisse. So però che tutto quello che accadeva in quel luogo era legato a filo doppio alla personalità di Salvatore e che, come spesso succede a Napoli, senza la sua presenza non sarebbe nemmeno stato possibile immaginarla, una qualche attività. E si badi: qui si parla di attività “culturale” nel senso più pieno e vissuto del termine. Qualcosa che si alimentava nella materiale esperienza delle persone, e che si contaminava con i loro umori, gli slanci e le mattane. Per questo, talora, tutto ciò poteva essere scambiato per goliardia, o edonismo, o spensieratezza effimera. Era in realtà una filosofia di vita. Un esistenzialismo senza Francia.

Quelle notti infinite erano piene di parole, elucubrazioni, tentativi di classificare il mondo intero per venirne a capo. Pica aveva una sua particolarissima ossessione tassonomica che di preferenza si esercitava intorno al mistero femminile, esaminato in prospettiva diacronica: le ventenni, le trentenni, le quarantenni… Il problema era quello di fissare una volta e per tutte alcune griglie interpretative che consentissero di capire i loro comportamenti, non già per prevederli e quindi dominarli, ma piuttosto per il gusto intransitivo di disporsi all’ascolto, di mettere insieme un qualche avventuroso confronto, e di scardinare con ciò le antiche dinamiche del corteggiamento. Un approccio a suo modo “scientifico”, post-materialista e post-ideologico. Al postutto, anche post-femminista (oltre che post-maschilista), perché in fondo stiamo parlando degli anni Ottanta del Novecento.

Già, quegli anni. Li abbiamo rubricati, nella coscienza collettiva, come un periodo di banalità, di “riflusso”, di crepuscolo della politica ridotta a pratica di quotidiana ruberia. Però è anche vero che a Napoli furono anni pieni di una vitalità culturale nervosa e a tratti dirompente. In quel gran calderone, l’Ellisse di Pica giocò un ruolo non marginale. Il suo impegno principale, che del resto è ancora l’impegno principale di Salvatore e della sua Pica Gallery, fu quello di promuovere la creatività, anche e forse soprattutto quando non fosse stata “certificata” da qualche superiore autorità, anche quando si proponesse così, brada e randagia, e costitutivamente “altra” rispetto ai canali convenzionali. Certo, all’Ellisse si fecero anche mostre e incontri con protagonisti di indiscutibile prestigio, ma a me piace ricordare soprattutto questa attività da talent scout che Pica, insofferente di ogni disciplina e più di tutto di quella imposta dalle convenienze, ha sempre mandato avanti con grande passione, contagioso entusiasmo e sublime ironia. Ingrediente, quest’ultimo, assolutamente indispensabile per fare le cose divertenti, ma forse ancor più per fare quelle serie.

Da socio fondatore, or sono vent’anni e passa, dell’Accademia della Catastrofe “Erasmo da Rotterdam”, sodalizio nel quale Pica ha avuto una parte di assoluto rilievo, io posso ben dirlo. Ma questa è forse un’altra storia, e aspettiamo un altro momento, e altre degne celebrazioni, per occuparcene come si conviene.

FRANCESCO DURANTE

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