Tra settanta e ottanta: il transito delle forme

Sul finire degli anni '70 a Napoli, già si scorgevano i segni e i segnali del tramonto dell' utopia del '68. I linguaggi dell'arte (visiva, musicale, teatrale) si impegnavano a trasmettere le forme della comunità alternativa in epoca altra come stili della presenza metropolitana di un movimento che perdeva terreno. C'erano i colpi del terrorismo, del capitalismo, del camorrismo, del tangentismo e Napoli lentamente si avviava a diventare l'indigesto intruglio di fine secolo.

In quello scenario la galleria Lucio Amelio di Lucio Amelio e l'Ellisse di Salvatore Pica suonarono il loro concerto sulla creatività diffusa. Amelio, con il suo inconfondibile mix di antiprovincialismo filocapitalista e filoamericano-svizzero, avrebbe aperto le sale della galleria alla "Rassegna della nuova creatività nel Mezzogiorno" che esplorava - nell'immediata antecedenza del terremoto - la seminagione delle diverse creatività napoletane e casertane non ancora ordinate da Achille Bonito Oliva nel pattuglione della Trans-avanguardia.

Pica aprì, per tutto il 1980, un ampio settore dell'Ellisse di p.zza Vittoria ai soggetti giovanili asimmetrici che si muovevano fuori del bordo del mercato dell'arte e dei mass-media e quindi fuori del bordo di Napoli. Il 16 gennaio del 1980 esposero Lino Fiorito (futuro scenografo di Falso movimento) e Ciro De Martino (artista nomadico per eccedenza e cassiere del noto chalet da Ciro a Mergellina). Il titolo era "Bevete" e si anatomizzava la cocacola, un po' come aveva fatto Mario Schifano nel 1972: presenze della transizione.

Il caro Ciro sarebbe scomparso pochi mesi dopo - con un'artista figlia dell'Accademia di Belle Arti:

Annalisa Latella - in una tragica notte di amore e morte a via Manzoni ucciso da un ex fidanzato geloso. Mi telefonò Giuseppe D'Avanzo, allora cronista di Paese sera: «Mi risulta che conoscevi Ciro De Martino è stato ucciso con Annalisa Latella dal suo ex, che poi si è anche lui suicidato. Ha lasciato una pagina di diario per spiegare il folle gesto».

Giulio de Martino

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